Il Braccio dell’abate Tommaso

Nel museo diocesano di San Marco Argentano è custodito un braccio reliquiario laminato in argento ai più probabilmente sconosciuto o passato inosservato. Il braccio è tecnicamente definibile come un reliquiario antropomorfo, che presenta un motivo decorato a sbalzo su tre fasce lungo la circonferenza del fusto del braccio stesso, e un doppio vano interno per le reliquie con finestrella tonda. La tecnica di realizzazione pare ascrivibile all’età gotica, e sembra in parte familiare con quella della più nota croce reliquiario, che ha però la particolarità di essere considerata dagli esperti come un’opera assemblata da “parti più antiche riportate su di una struttura trecentesca”, e anch’essa custodita nel museo diocesano.

Il braccio si accompagna ad un’incisione latina su lamina di metallo con caratteri maiuscoli simil onciale, che riporta il seguente testo:

HOC OPUS FECIT FIERI ABBAS THOMASIUS INQUI SUNT RECONDITA BRACHIA DUO SANCTI IPOLITI ET DOROCTHE(A) ANNO DOMINI MILLO TRECENTESIM(O) OCTAVO VICESIM(O) DIE MENSE MADII

La cui traduzione è grossomodo:

Questo lavoro (o opera) fatto fare dall’abate Tommaso conserva le braccia dei due santi Ippolito e Dorotea nell’anno del Signore milletrecento otto giorno venti maggio.

uando ho pensato di scrivere questo piccolo approfondimento sul braccio reliquiario, il mio intento principale oltre far conoscere il braccio, era quello di raccogliere informazioni sulla figura dell’Abate Tommaso. Trovo infatti conferma della sua presenza a San Marco come Abate dell’abbazia di Santa Maria della Matina tra le carte dell’archivio Aldobrandini, documento n.231 del giugno 1315. E poi come vescovo della diocesi di San Marco da una nota ricavata dal documento citato che porta la data 1323, quando fu elevato a tale dignità lasciando vacante il monastero vacans per consecrationem Thome episcopi Sancti Marci. Trovo traccia dell’episcopato di Tommaso sia in Hierarchia catholica di Eubel (libro I, pag. 326) che in Regesti dei romani pontefici di Taccone-Gallucci (pag. 440).

Da questa documentazione sappiamo che Tommaso, era un monaco cistercense, già Abate di Cistello di Firenze, e abate di Santa Maria della Matina dal 1315 al 1321 (nel 1323 risulta già vescovo). L’incisione del braccio anticipa però la presenza dell’abate a San Marco già al maggio del 1308. Probabilmente il braccio era un dono dell’abate all’arrivo al monastero della Matina. Dono forse proprio al vescovo di San Marco che all’epoca era tale Manfredo (suo predecessore).

La cosa che però mi lascia enormemente sorpreso è che questo braccio custodisse (l’incisore usa il termine recondita, da recondo, che ha significati come riposto, nascosto, celato, serbato), le reliquie delle braccia dei due santi martiri importantissimi, Ippolito e Dorotea, di cui non ne avevo mai sentito parlare, o menzionarne il ricordo a San Marco. Indagando ho trovato che questi due santi sono stati martirizzati durante l’Impero Romano (cosa abbastanza prevedibile). Sant’Ippolito fu martirizzato nel 235 sotto l’Imperatore Valeriano. Ippolito è stato il primo antipapa della storia, contrapposto per protesta a papa Callisto I. Santa Dorotea fu martirizzata nel 311 durante la persecuzione di Diocleziano è una santa molto venerata nel Medioevo ed è ricordata per il miracolo delle rose e delle mele. Le reliquie di questi due santi martiri sono custodite divise tra diverse chiese e basiliche romane, e di Sant’Ippolito si conservano reliquie proprio del suo braccio tra la Basilica di Santa Maria di Cosmedin a Roma e Roccaraso.

Di questo braccio reliquiario parla anche Salvatore Cristofaro nella sua Cronistoria, associandolo però agli ori e argenti della chiesa cattedrale, andati perduti con la spoliazione napoleonica del 1797 (che nel regno di Napoli si ha con Murat nei primi anni dell’800). Queste le sue parole:

La espillazione del denaro delle decime su l’entrate poi, e quello strano ed inconsulto provvedimento preso dal re nel 1797, col quale per supplire alla mancanza di moneta, si ordinava lo spoglio di tutti gli argenti ed ori dei luoghi pii, delle chiese e cappelle di cleri secolari e regolari d’ambo i sessi…. Reliquie scampate qui in S. Marco al sacrilegio, irriverente, immane spoglio della nostra cattedrale furono pochi oggetti, la statua in argento di S. Nicola di Bari, due candelieri, una croce con carte gloria anche in argento, misera parte di un gran parato di altare, cioè di candelieri N. 18 con altrettante giarrette con analoghe fioriere. Facendosi schermo, come suole avvenire in simili eventi, della esecuzione di quel decreto infausto, furono derubati altri oggetti, una gran croce astile, un braccio di S. Dorotea ed altro.

Questo testo del Cristofaro è interessante ma va letto con attenzione per evitare equivoci. Non citando il reliquiario di Sant’Ippolito né tra i pezzi derubati, né tra quelli scampati, suggerisce che il reliquiario fosse uno solo, all’epoca conosciuto per le sole reliquie di Santa Dorotea (l’incisione conferma questa ipotesi parlando di un reliquiario per entrambi i martiri). Quando il Cristoforo scrive (la Cronistoria è edita nel 1898) questo braccio era perduto, forse proprio a conseguenza del tentativo di sottrarlo ai francesi. Effettivamente se oggi abbiamo la fortuna di ammirarlo in esposizione nel museo lo dobbiamo al fortuito “ritrovamento” di Don Vincenzo Ferraro, che con l’intendo (anni fa) di catalogare gli oggetti sacri della Cattedrale, se lo è trovato tra le mani, e compresone l’importanza lo ha aggiunto ai pezzi che compongono l’attuale esposizione museale. Che questo braccio fosse realmente dimenticato fino al ritrovamento di Don Vincenzo, ne è prova il fatto che non figura nel catalogo generale dei beni culturali. Da una ricerca, infatti, su San Marco risulta censita la sola croce reliquiario.

Se passate da piazza Selvaggi fermatevi al museo diocesano e entrate ad ammirarlo.

Enrico Tassone

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